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Marianna

Part IV sent by DollGuy and uploaded on data 30/January/2005 17:56:22


CAPITOLO 3

Marianna non aveva dubbi riguardo i suoi obiettivi. Napoli ospita un porto militare. Nei dintorni c’è una base NATO, e altre sono situate in zone poco distanti.

Non c’è da meravigliarsene: la nostra penisola è da tempo una zona strategicamente importante, come una sorta di gigantesca “portaerei” nel mezzo del Mediterraneo: sin dalla “guerra fredda”, ci siamo ritrovati a poca distanza da paesi considerati potenzialmente “ostili”, fossero essi “comunisti” o musulmani, o a zone “calde”, come i Balcani. Per cui sul patrio suolo operano decine di basi del Patto Atlantico.
Molte città vicine a Napoli, inoltre, sono zeppe di caserme delle Forze Armate italiane (ad esempio Caserta, dove ha sede il distretto militare).
Tutto ciò ha sempre fatto sì che le diverse generazioni di contestatori locali che si sono avvicendati nelle proteste anti-militariste non dovessero andar lontano per trovare qualcuno contro cui urlare. Io stesso, in passato, ho preso parte a qualche appuntamento organizzato nei pressi di basi militari.
La ragazza, quindi, si diresse con decisione là dove si trovavano le più vicine basi NATO: la città di Napoli.

Per la giovane sovversiva, queste installazioni erano un bersaglio perfetto: prima di tutto, avrebbe potuto buttare in mare quegli “occupanti” (come in quella canzone degli anni ’60: «buttiamo a mare le basi americane/smettiamo di fare da spalla agli assassini!». La differenza era che la canzone parlava in senso figurato: Marianna, invece, cominciava a pensare di poterlo fare in senso letterale). Ma c’era anche un altro motivo, più profondo; e forse era quello più importante (lei, però, non avrebbe mai ammesso una cosa del genere, nemmeno con se stessa): anche se non mancano le persone che a quelle idee ci credono davvero, molti entrano nei gruppi militanti, laici o religiosi, anche per insicurezza, per trovare un “branco” che gli dia un’identità, o un “bozzolo”, una corazza che li protegga psicologicamente. E quanto più è profonda la propria insicurezza ed esteso il proprio “mal de vivre”, tanto più si tende a scegliere gruppi che rimettono in discussione tutto l’esistente. L’adesione alle idee del gruppo, per questi individui, è spesso il frutto di una razionalizzazione successiva. In effetti, per quasi tutti i militanti, di ogni tendenza, le proprie scelte di campo sono un misto di motivazioni ideali ed emozioni intime, fuse insieme al punto da essere difficili da distinguere: chi se ne rende conto, assume un atteggiamento equilibrato; chi non lo fa, non riesce più a distinguere gli ideali dai desideri personali, e diventa schiavo delle proprie passioni.
Marianna aveva sempre provato una profonda frustrazione: il Mondo non era mai andato come voleva, le sue aspettative non si erano mai realizzate. A dire il vero, queste aspettative erano tanto elevate quanto vaghe: non aveva idee precise, ma solo la speranza in qualcosa che non avrebbe potuto definire (se non con espressioni astratte, o parole di cui non afferrava davvero le implicazioni); erano delle sensazioni più che delle idee. Non che fosse stupida o ignorante: tutt’altro! Il punto è che le emozioni sono, di solito, più forti della ragione; e, sul piano emotivo, quella vita migliore cui anelava risultava inevitabilmente tanto più attraente, tanto più rispondente al suo bisogno di una panacea universale, quanto più era indefinita. E’ un fenomeno molto comune: in fondo, anche l’idea del Paradiso risulta così attraente proprio perché le parole non possono descriverlo, e quindi si possono riversare in esso le aspettative più diverse.
La frustrazione della ragazza nasceva proprio da questa vaghezza: come si raggiungono obiettivi indefinibili? Come puoi costruire qualcosa, quando non sai nemmeno bene cos’è?
Se Marianna fosse riuscita a vedere le cose con maggior distacco, avrebbe potuto riconoscere questo problema, e acquistare, così, un atteggiamento più sereno; e forse questo l’avrebbe resa anche più tollerante.
Il problema era che Mari tutto era tranne che distaccata: lei avvertiva il bisogno urgente di un Mondo nuovo, di una soluzione a tutti i suoi problemi, qui ed ora. Voleva tutto e subito, per quanto lo nascondesse, a se stessa e agli altri, sproloquiando in politichese. A causa di questo suo desiderio, doveva per forza credere di stare dalla parte giusta: non avendo la forza di costruirsi un’identità individuale, aveva finito con l’identificarsi totalmente con la sua fazione. E dato che non faceva distinzione tra sé e il collettivo, per lei rimettere in discussione il gruppo avrebbe significato negare se stessa, tutto ciò che era e tutto ciò che era stata; sarebbe stato peggio che morire: sarebbe stato come non essere mai esistita. Ecco perché le discussioni tra me e lei erano sempre state inutili.
La sua frustrazione era quindi cresciuta di anno in anno. Tutto l’impegno da lei profuso, senza risparmio, nei numerosi volantinaggi, nelle interminabili discussioni alle riunioni, nei logoranti conflitti con gli altri gruppetti, nei vani ed estenuanti sforzi di “convertire” gli studenti e di allearsi con i lavoratori, aveva sottratto tempo ed energie allo studio e alla ricerca di un lavoro: a 2 anni da una laurea conseguita in ritardo, ancora doveva arrangiarsi dando lezioni private; invece, ai suoi colleghi che avevano scelto una politica più opportunistica, l’attività svolta nei partiti istituzionali aveva assicurato amicizie utili nella carriera e nella professione, e a volte anche appoggi agli esami. Intanto, ai suoi occhi, la situazione politica, nazionale ed internazionale, non faceva che peggiorare.
Come se non bastasse, neanche il suo collettivo era quell’oasi che lei andava cercando: anzi, si era rivelato spesso un nido di vipere, avvelenato da scontri di corrente e rivalità personali, da stereotipi e discriminazioni di cui lei era stata spesso la vittima. Il tutto era tanto più meschino in quanto si trattava di un gruppetto di neanche 20 persone, e da questi conflitti c’era poco o nulla da guadagnare. Tutto questo non avveniva mai esplicitamente, anzi, veniva ipocritamente mascherato con altisonanti paroloni; e tuttavia Marianna sentiva, intuiva la situazione. Però non riusciva, non poteva riconoscerlo.
Così, col passare del tempo, Mari aveva giustificato le sue delusioni dando tutta la colpa ad una serie di capri espiatori,e aveva finito, man mano, per odiare tutto e tutti, o quasi. Un odio che aveva covato dentro per anni.
Tutt’ad un tratto, quella giovane donna, debole, insicura, frustrata e piena di rancore, si ritrovava in mano un potere incommensurabile: apparentemente, poteva fare quello che voleva a chi voleva, e nessuno avrebbe potuto farci niente. Era un dono tanto grande quanto inaspettato: se fosse stata credente, avrebbe pensato ad un miracolo.
Ora avrebbe potuto scaricare tutta la sua tensione su coloro dai quali si era sempre sentita soffocata, schiacciata, derisa; e avrebbe potuto farlo in tutta sicurezza, in totale impunità.
- E’ la riscossa degli oppressi! – pensava, sogghignando – Infatti, io sono sempre stata oppressa da loro! E come me, lo sono stati tutti gli emarginati della Terra! Ma ora la musica cambierà! Accidenti, se cambierà! Li schiaccerò! Letteralmente, li schiaccerò! E provino pure a fermarmi: sarà divertente essere attaccata da quelle patetiche formichine! Che diavolo! Per me, sono anche più piccoli delle formiche! -
Non c’è da meravigliarsi che si sentisse tanto su di giri!

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All’aeroporto di Capodichino, i viaggiatori che affollavano le sale d’attesa erano infuriati: un ennesimo ritardo, a tempo indeterminato! E senza preavviso! E cosa diavolo intendeva lo speaker dell’altoparlante con “problemi tecnici”?
- Solo scuse! Sono solo bravi a trovare scuse! – Brontolavano.
In realtà, il traffico aereo era stato interrotto in tutta l’Italia centro-meridionale, per apparenti guasti ai radar. E persino quello marittimo era stato dirottato.
Infatti, gli schermi mostravano un’immagine inspiegabile, mai registrata da quando era stato inventato l’apparecchio: pareva una montagna semovente, più veloce di un aereo di linea.
Così, i tecnici di tutti gli impianti radar, civili e militari, fossero essi situati a terra o installati a bordo di navi o velivoli, si stavano affannando, ciascuno nella propria postazione, a trovare il fantomatico guasto. E ancora nessuno si era accorto che lo stesso segnale appariva sugli schermi di tutti gli impianti della zona.

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Marianna era una ragazza intelligente: capì subito che, in quelle condizioni, avrebbe avuto bisogno di punti di riferimento, e pensò di avvicinarsi alla città da sud-ovest, dove poteva scorgere Monte di Procida.
L’acqua era poco profonda, come previsto: al massimo le era arrivata a metà coscia. E ora che si avvicinava alla costa, a malapena le lambiva le ginocchia. Perciò, avanzare era facile. E da quell’altezza, aveva un’ottima visuale. In effetti, la gigantessa era meravigliata dalla rapidità con cui aveva raggiunto la costa. Decise che sarebbe stato meglio rallentare.
- In fondo, che fretta c’è? – pensò – E poi, non è mica qui che voglio far danni…-
Infatti, su quel promontorio non c’erano basi militari importanti. Quindi decise di aggirarlo, dirigendosi ad est, lentamente (cioè poco al di sotto del muro del suono) e senza calcare troppo i suoi passi.
Gli abitanti di Capo Miseno non avevano speranze, anche se la ragazza si era mantenuta ad una certa distanza: solo pochi attimi dopo che avevano scorto Marianna, mentre si stagliava fino a 1,5 chilometri sopra il livello del mare, le barche dei pescatori furono travolte dagli tsunami causati dai bei piedoni della giovane. Poi fu la volta del porto, mentre il centro abitato veniva raso al suolo dalle scosse causate dai suoi passi. La colossa non se ne accorse, e proseguì la sua tranquilla passeggiatina.

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I sismologhi e i vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano erano senza parole: le scosse che stavano registrando sul sismografo li lasciavano quanto meno perplessi. Non sembravano provenire dai soliti epicentri, e di certo non provenivano dal Vesuvio: l’origine era in mare, però non c’erano faglie in quel punto. Che si stesse formando una nuova isola vulcanica?
Ma i due aspetti più strani di quel nuovo fenomeno erano la cadenza e la durata di quei tremolii: in tutta la lunga storia dell’Istituto, i sismografi non ne avevano mai registrati di simili, e mai, a memoria d’uomo, dei terremoti erano durati tanto a lungo (fatta eccezione, forse, per qualche mito risalente all’antichità).
Gli scienziati non rimasero inattivi a lungo: tutti i dati indicavano che l’epicentro si stava spostando velocemente verso la città! Mentre alcuni avvisarono d’urgenza la Protezione Civile, altri si misero in contatto con tutta una serie di colleghi illustri sparpagliati per il mondo, trasmettendo dati e richiedendo pareri.

Gli psicologi e gli psichiatri della facoltà di medicina e dei principali ospedali cittadini erano molto preoccupati: le autorità portuali e aeroportuali, le autorità sanitarie, le forze dell’ordine, la Protezione Civile, tutti li stavano assillando richiedendo una consulenza urgente. A quanto pareva, un’allucinazione collettiva stava colpendo la provincia occidentale di Napoli in maniera assolutamente inedita: nata apparentemente dal nulla, si stava estendendo ad una velocità mai registrata prima negli annali medici. La spiegazione più semplice era la presenza nell’aria di un agente allucinogeno, tanto che alcuni di loro avevano consigliato di confrontare la provenienza degli avvistamenti con i dati meteo sulla circolazione dei venti. Restava però da stabilire quale sostanza potesse agire così rapidamente, e provocare a tanti soggetti diversi visioni così simili.
In effetti, coloro che ne erano stati vittime davano versioni differenti, ma accomunate dal fatto di essere stati colpiti da una creatura vivente, immensa e velocissima, che scatenava immani cataclismi solamente movendosi. Ancora più preoccupante era il fatto che quasi tutte le comunicazioni si interrompessero pochi istanti dopo che gli “avvistamenti” erano stati convulsamente trasmessi: i medici temevano che gli effetti di questa strana pazzia fossero fatali, vuoi perché l’allucinogeno fosse letale, vuoi perché essa degenerasse in follia omicida.
Sommersi dalle richieste, gli illustri dottori non fecero caso ad alcuni fatti che non si accordavano con le loro tesi: i piloti degli aeromobili che sorvolavano la zona, pur volando in cabine pressurizzate, sostenevano di aver visto anch’essi la creatura; tutti coloro che volavano ad alta quota sembravano essere rimasti incolumi; e gli avvistamenti si moltiplicavano ad una velocità superiore a quella di qualunque corrente aerea.
Inoltre, a nessuno era venuto in mente di ricollegare le segnalazioni alle scosse sismiche, che stavano divenendo sempre più facili da percepire.

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Mentre le autorità locali brancolavano nel buio, nella centrale operativa locale della NSA (National Security Agency), a San Vito dei Normanni, in Puglia, la tensione si poteva, come si suole dire, tagliare con il coltello: tre ufficiali operativi dei servizi segreti americani stavano vagliando una serie di dati in arrivo insieme a due colleghi del SISMI, e non erano contenti.
- Va bene, siamo d’accordo che non può essere un’esplosione nucleare, visto che non ci sono radiazioni, QUEL tipo di radiazioni in ogni caso. Ma siamo sicuri che si tratti di QUELLO? – chiese uno degli italiani, il più giovane – Non potrebbe trattarsi dell’uso combinato di una serie di armi convenzionali e batteriologiche? –
- E quali? – gli rispose un americano – Ricapitoliamo: nessuno a parte noi, qui, è in grado di organizzare una distruzione su scala così vasta. A parte QUELLO, non esiste nulla sulla Terra, tranne forse una testata nucleare tattica, capace di sviluppare un’esplosione come quella che ha sconvolto Ischia. E poi come altro spieghi le scosse? E quegli avvistamenti? Se ci fossero agenti allucinogeni così potenti e ad azione così immediata, i nostri esperti li conoscerebbero. Inoltre, si muove molto più velocemente del vento, e in direzione opposta –
- E soprattutto – aggiunse un altro americano – le nostre registrazioni non lasciano adito a dubbi: si tratta di radiazioni ipsilon. E’ chiaro che il prototipo è stato attivato –
- Piuttosto – riprese il primo americano – Non avrebbe dovuto essere recuperato? –
A questa domanda, gli italiani tossirono, imbarazzati.
- C’è stata una fuga di notizie – rispose il secondo italiano – E uno dei nostri giovani, fresco d’accademia, ha pensato di poter fare carriera con un arresto facile: è intervenuto di propria iniziativa, chiedendo l’aiuto della polizia locale. – I colleghi della NSA lo guardarono, inorriditi. Rosso per l’imbarazzo, continuò – Se non altro, non ci darà più problemi: si trovava sull’isola…-
- Sappiamo chi è il soggetto? – lo interruppe il terzo americano, il più anziano.
- Si. E’ negli archivi della Digos – rispose il primo italiano – Una facinorosa senza arte né parte, come ce ne sono tanti. Non aveva mai creato particolari problemi…-
- Che casino! Che gran casino! Ora dovremo avvertire le autorità civili, e ci resta pochissimo tempo per farlo: tra pochi minuti, qualche tele-operatore riuscirà a inquadrarla, e allora scoppierà il panico…- si lamentò il primo americano.
- Possiamo imporre il silenzio-stampa – suggerì il secondo italiano – Non funzionerà a lungo, ma guadagneremo il tempo per elaborare una versione accettabile da presentare alla stampa. La stessa eccezionalità della situazione ci faciliterà il compito: anche se la vedranno in TV, molti penseranno ad un’invenzione giornalistica. –
- Allora siamo d’accordo – disse il terzo americano, in tono conclusivo – Se solo la metà di quello che ci hanno detto gli esperti è vero, il soggetto dovrà essere considerato una minaccia di livello 1. Siamo quindi in stato Defcon 5: sapete tutti cosa fare –
Gli altri annuirono, e si misero al lavoro.

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Marianna aveva deciso di fare una piccola sosta: sapeva che l’isoletta di Nisida, al largo di Bagnoli, ospitava una base dell’US Army, e intendeva cominciare da lì.
- Essere discreta non mi servirebbe a nulla: non potranno non vedermi! – pensava – Tanto vale prendersela comoda e fare le cose in modo sistematico -
I militari l’avevano già avvistata da qualche minuto. Il comandante della base aveva dato l’ordine di massima allerta, segnalato al comando di zona che quello che si vedeva sullo schermo radar esisteva davvero (anche se non sperava di essere creduto) e chiesto istruzioni.
Malgrado i suoi timori, la risposta fu immediata. Gli ordini erano di fermare quella cosa con ogni mezzo fino all’arrivo dei rinforzi: il Comando delle Forze Aeree USA per il Mediterraneo, di stanza a Napoli, aveva già dato l’ordine di decollo agli aeromobili delle basi di Capodichino e Grazzanise (CE) e dell’aeroporto militare di Ciampino, a Roma; il Comando delle Forze Navali USA in Europa, anch’esso di stanza in città, aveva dato ordine alla Sesta Flotta e alla Squadra navale di scorta alla portaerei "La Salle" di salpare immediatamente dalla base di Gaeta, e di ricongiungersi con la squadra sommergibili di stanza a Napoli. Tutte le basi NATO nella penisola erano state messe in allerta, e l’Esercito Italiano era in mobilitazione: la fanteria meccanizzata e le truppe corazzate si erano messe in moto per convergere sulla costa, insieme ai soldati della dell’US Army della base di Agnano e ad una squadriglia di elicotteri Augusta.
Rinfrancato da quelle notizie, il comandante diede l’ordine d’attacco. Aveva appena finito di parlare che il terreno cominciò a sussultare sempre più violentemente, mentre onde sempre più alte si abbattevano sull’isola: Marianna era arrivata.

La ragazza si era avvicinata all’isola in punta di piedi, avanzando delicatamente nell’acqua profonda appena qualche centimetro.
- Meglio andarci piano – pensò – non sarebbe divertente affondare l’isola prima di aver giocato con i soldatini…-
Nisida le sembrava minuscola: un mucchietto di sabbia e terra, ricoperta da un sottile strato verde, con alcune scatoline grigie e verdi ammucchiate in un angolo: le caserme.
Sorridendo, si sedette davanti all’isoletta con un movimento aggraziato, incrociando lentamente le gambe in modo da circondare con esse tutta Nisida.

L’isola sembrava sul punto di andare in pezzi.
I mostruosi passi della leviatana, che tanto l’avevano sconquassata, sembrarono poca cosa rispetto allo sconvolgente impatto di quel culo sconfinato: 70 milioni di tonnellate di ragazza si schiantarono al suolo, sbalzando tutto e tutti in aria per parecchi metri; lo spostamento d’aria spazzò l’isola, portandosi via tutto ciò che non era assicurato al terreno.
Fortunatamente, il comandante aveva avuto la presenza di spirito di ordinare a tutti di prepararsi all’impatto, lanciando il segnale da usare in caso di esplosione atomica. Malgrado ciò, Marianna aveva ucciso già molti soldati con il semplice atto di sedersi, senza averli toccati direttamente.
I superstiti osservarono allibiti le gambe di Marianna, lunghe 900 metri, circondare l’isola ed ergersi davanti a loro, come un muro alto centinaia di metri, ed ancora più spesso.
Subito il comandante abbaiò degli ordini, e gli uomini, bene o male, raggiunsero i cannoni e le armi anti-carro, o misero in moto i carri armati.
- Per fortuna – pensò l’ufficiale – ho fatto in tempo a dare l’ordine agli elicotteri di decollare…-

Marianna udì un lieve ronzio, ormai familiare, e, osservando con attenzione, poté vedere un piccolo sciame di zanzare color verde-oliva: una squadriglia di elicotteri Apache.
Sorrise, contenta al pensiero che questi erano elicotteri militari: avrebbero dovuto essere un po’ più divertenti degli altri. Aspettò pazientemente mentre, spingendo i loro motorini al massimo, coprivano con estrema lentezza poche decine di centimetri per raggiungere quota, disporsi in formazione e puntare verso di lei, all’altezza del suo petto. Valeva la pena di stare ad osservare i loro ridicoli sforzi: erano così buffi!
Non restò delusa: i leggeri pizzicorini che sentì sul torace erano davvero piacevoli. Però sulle tette non sentiva nulla: evidentemente il suo costume era troppo spesso per quei deboli missiletti.
- Beh, a questo posso rimediare…- pensò.
I piloti erano esterrefatti. Dopo che avevano sparato diversi missili sulla parte più evidente di quel corpo smisurato, la gigantessa reagì in modo del tutto inaspettato: lungi dall’accusare il colpo, sorrise ancora di più, e fece loro l’occhiolino con quelle palpebre larghe quanto un campo di calcio. Poi, piegò quelle braccia chilometriche e si portò le enormi mani dietro la sua schiena sconfinata, ondeggiando il busto in un modo che i militari non poterono non trovare sensuale. Quello che stava facendo divenne chiaro quando le coppe del reggiseno, ciascuna delle quali misurava 200 metri per 250, cominciarono a calare: quella colossale bellezza si stava slacciando il costume, scoprendo due poppe da 2,5 milioni di tonnellate ciascuna.
Con movenze seducenti, strizzando di nuovo l’occhio ai moscerini di fronte a lei, prese il reggi-petto con due dita, lo fece penzolare per un po’ davanti a loro, e poi lo lasciò cadere sull’isola.
I soldati a terra, che avevano appena puntato le armi contro di lei, furono di nuovo sbalzati violentemente a terra dalla forza dell’impatto del massiccio indumento.
Molto lentamente, a poche centinaia di chilometri all’ora, la ragazzona piegò il busto all’indietro, appoggiandosi al suolo con le braccia tese dietro di lei; le gambe, invece, rimasero dov’erano. Le sue colossali mammelle erano, così, ancora più evidenti.
Marianna osservò divertita, quasi intenerita, mentre quegli elicotterini, quasi invisibili, arrancavano a tutto gas, per colmare con la lentezza d’una lumaca la breve distanza che aveva messo tra sé e loro.
Questa volta, i piloti erano decisi a sferrare un colpo decisivo: il caposquadriglia, comunicando con il comandante a terra, aveva ricevuto ordine di far fuoco con tutto quello che avevano, alla distanza più breve possibile, contemporaneamente con i pezzi a terra.
Decisero di concentrarsi sul seno sinistro, dove c’era il cuore. Si avvicinarono, vedendo quella montagna di carne crescere davanti ai loro occhi increduli. Arrivarono a poche decine di metri da esso: andare più vicini avrebbe significato esporsi allo spostamento d’aria causato dall’esplosione dei missili. Armarono i missili, tolsero la sicura ai cannoni, e li puntarono sul gigantesco capezzolo. Per loro non fu facile trovare la concentrazione necessaria: l’enormità di quella tetta non faceva altro che renderla attraente in proporzione, tanto più che quella sconfinata distesa di pelle sembrava essere perfettamente liscia, senza quegli enormi pori che ci si sarebbe potuti aspettare in un essere umano di quelle dimensioni. Ma gli ordini sono ordini, e quei soldati vi si attennero, anche se erano arrapati persi.
La titana capì che quei microbi avevano in mente qualcosa: avevano impiegato un tempo che le era sembrato infinito per portarsi a pochi centimetri dalla sua tetta sinistra, e stavano ronzando all’altezza del suo capezzolo. Non le sembrava verosimile che volessero solo godersi il panorama.
Decise, perciò, di lasciarli fare; ma non senza stuzzicarli un po’.
- Vi piace la vista, poveri insettini? – disse, con il tono di voce più basso e lieve che le riuscì di produrre – Siete tutti maiali, voi militari! Beh, visto che la mia tetta vi piace così tanto, potrei anche essere carina e lasciarvi giocare un po’ con lei, prima di schiacciarvi…Anzi, vi propongo un patto: se riuscite a farmi godere un po’, cosa di cui dubito, potrei valutare la possibilità di lasciarvi in vita, qualora ne avessi voglia…Ma sia chiaro: lo faccio solo perché mi fate pena…E poi non è mica detto che riuscirete a sopravvivere: le mie piccoline, qui – disse, indicando i seni - si eccitano facilmente, e se perdono la testa non credo che dei cosini patetici come voi riuscirebbero a sopravvivere -
Il comandante, massaggiandosi le orecchie che gli rimbombavano per il sussurro di Marianna, furente per quelle parole, ordinò di aprire il fuoco. I soldati erano professionisti ben addestrati, e il bombardamento fu perfettamente sincronizzato: tutti quelli che non erano necessari al funzionamento dei grossi cannoni, spararono con mortai o con lancia-missili e lancia-granate portatili, mentre gli elicotteri azionavano i cannoni e le mitragliatrici di bordo, lanciando allo stesso tempo tutti i missili di cui ancora disponevano.
La gigantessa ne fu piacevolmente sorpresa: non solo le infinitesimali esplosioni sul suo capezzolo erano molto piacevoli, dato che si trattava di una zona più sensibile di quelle colpite in precedenza, ma si sentiva anche solleticare la parte interna delle cosce con una delicatezza che non aveva mai provato con i pochi ragazzi che l’avevano toccata. Le mitragliatrici anticarro degli Apache, invece, erano troppo insignificanti perché potesse sentirle, e i proiettili sparati sulla vagina erano troppo deboli per riuscire anche solo ad intaccare i suoi slip.
- Mmmmhh! – Tuonò sottovoce, chiudendo gli occhi.
Quando li riaprì, vide, divertita ed eccitata, che il suo capezzolo era diventato turgido, e si era allungato così tanto da accostarsi paurosamente al più vicino degli elicotteri.
Con un sorriso maligno, gonfiò di un tantino il petto: i piloti videro che la massa immensa della poppa di Marianna, così grande che non riuscivano ad abbracciarla tutta con lo sguardo, veniva proiettata in avanti di decine di metri, ad una velocità che i loro velivoli non sarebbero mai stati in grado di eguagliare: la punta del capezzolo, di molte volte più spesso e lungo dell’elicottero, impattò contro di esso, disintegrandolo all’istante.
- Oh! – si lasciò sfuggire la ragazza: questo era stato il meglio che quelle zanzare metalliche fossero riuscite a fare per lei, fino a quel momento. Si inarcò, e l’aureola de suo capezzolo intercettò altri due aeromobili: i minuscoli scoppi la fecero rabbrividire di piacere, e il terremoto che ne conseguì sbalzò le truppe di terra dalle loro postazioni.
Riaprì gli occhi, e rimase immensamente divertita alla vista dei minuscoli elicotteri in preda al panico, che cercavano disperatamente di fuggire dalla sua mammella come un nugolo di moscerini spaventati, ma tanto più lenti di un moscerino!
- Mmmmh! Allora voi formichine a qualcosa servite, dopotutto…Ma si, oggi mi sento buona: vi lascerò andare…anzi, visto che siete stati così bravini voglio darvi un premio: un bacio! -
Ciò detto, si portò le dita della mano destra alle labbra, e, dopo aver emesso uno schiocco più potente di un tuono, soffiò un bacio verso quei giocattolini ronzanti. La corrente d’aria del suo alito, di gran lunga più potente di un ciclone, non lasciò scampo ai microscopici sventurati: vennero trascinati inesorabilmente per centinaia di metri, per andare a schiantarsi sulle colossali gambe della giovane dea.
La gigantessa scoppiò a ridere, stordendo tutti i presenti.
Quindi, abbassò lo sguardo sulle truppe, ormai sconfitte, e notò con disappunto che avevano smesso di sparare.
- Poveri, patetici, piccoli microbi! – mormorò, sarcastica - Non solo non avete forza, ma non avete nemmeno un po’ di resistenza! Prima, riuscite, chissà come, ad eccitarmi appena; poi, quando le cose si fanno un pochino più interessanti, mi lasciate in sospeso. Non si fa così! Non va mica bene! -

Fu a questo punto che, osservando meglio, intravide una manciata di veicoli, lunghi meno di un centimetro: carri armati!

Continua...


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