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IL RISTORANTE CINESE

Part I sent by x and uploaded on data 30/January/2005 18:06:15


Era da poco finito un periodo scolasticamente terribile: in 4 mesi avevo dovuto fare 3 esami per non rimanere indietro, ma ormai tutto era finito. Esausto, dopo che il giorno precedente avevo brillantemente superato anche l'ultima prova, mi ero svegliato tardi, alle 11. Appena aperti gli occhi, la mano automaticamente si spostò sul comodino affianco al letto per afferrare e accendere il telefonino: aspettavo una chiamata importante, la mia amica Michela mi aveva già accennato il giorno prima a buone notizie che mi avrebbe comunicato stamattina, suggerendomi in anticipo di mantenermi libero per la serata. Le mie attese non furono smentite: il tempo di caricare la rubrica e un bip argentino mi avvisò presto dell'arrivo di un messaggio.

Micky
9:23 / 30-06-04
Tutto ok per stasera: passo io alle 8:30, io e Roby, tu e LEI. Vi porto in un bel posticino...

Mi stupii di come quella logorroica cronica fosse riuscita a scrivere tutto in un messaggio. Ad ogni modo aveva fatto davvero un buon lavoro: capii subito che la LEI di cui parlava era chiaramente la moretta che avevo già da tempo adocchiato in biblioteca. Michela non la conosceva benissimo, ma evidentemente quel tanto che bastava per convincerla ad uscire con un suo caro amico. C'era riuscita e, da quel che avevo capito, ci avrebbe portati, insieme col suo ragazzo Roby, in qualche posto romantico. Messo di buonumore ancora prima di scendere dal letto, ritenni non necessario informarmi ulteriormente: vidi un po’ di televisione e mangiai leggero; decisi allora di passare il pomeriggio girovagando in Internet. Da un po’ infatti avevo scoperto l'ambiente Fetish e GTS sulla rete globale e mi dilettavo da tempo leggendo le storie sparse sui numerosi siti dedicati al genere nella WWW: sono sempre stato affascinato dalla bellezza dei piedini femminili, e questo lo sapevo da una vita. Ma da poco avevo scoperto di sentirmi molto attratto anche dalle gigantesse: mi imbattei per caso in un sito dedicato alle GTS e immediatamente in me si svegliarono delle insospettabili fantasie che evidentemente avevo celate in me da tempo a mia stessa insaputa. Andai a lavarmi e vestirmi con largo anticipo, e così trascorsero veloci le ore.

Alle 20 e 30 fui pronto a precipitarmi giù allo squillo del citofono. Ecco che uscivo e vedevo la mia bella amica Michela corrermi incontro, inondandomi con l'odore intenso del suo profumo. Mi abbracciò affettuosamente, come era solita salutarmi, e io ricambiai: dovevo quell'accoglienza tanto calorosa alla nostra profonda amicizia, che durava ormai da più di 8 anni, quando avevamo iniziato il Liceo insieme. Fummo da subito ottimi amici e consolidammo ulteriormente il nostro rapporto ritrovandoci a frequentare anche la stessa università. Ed ora la mia brava compagna era arrivata addirittura trovarmi la ragazza…Oggi mi sembrava ancora più affascinante del solito: notai subito i sabot col tacco medio, bianchi, come la gonna corta, molto corta, a sfidare il venticello fresco che spirava quella sera e lo sguardo di alcuni maliziosi che stavano passando di fronte al portone di casa. Sopra indossava una blousa celeste senza maniche, attillata e scollata per palesare la sua terza abbondante, e una giacca anch'essa bianca, ma di un bianco perlaceo, meno brillante rispetto a quello della gonna. <<Ciao Ale! Tutto ok? Non ti sei fatto sentire e per un po’ ho temuto che non venissi.>> <<Tutto bene, è solo che mi fido di te: ho pensato che non fosse necessario disturbarti. Grazie di tutto.>>. Michela ridacchiò inorgoglita dalle mie lusinghe, passandosi una mano tra i capelli castani come gli occhi <<Vieni, voglio presentarti una persona... Alessio, questa è Laura. Laura... Alessio!>> Mi avvicinai a lei, la ringraziai di essere venuta e, atteggiandomi da galantuomo consumato, ma mostrandomi, invero, abbastanza impacciato, mi inginocchiai per il rituale baciamano, col secondo fine di scrutarne un po’ più da vicino le estremità. Come mi era di consuetudine fare con le donne, cominciai ad analizzarla dal basso verso l'alto: vidi subito i bei piedini, più piccoli di quelli di Michela (che pure mi piacevano), calzanti una scarpa con tacco e aperte, in modo da mettere in risalto le unghie molto curate, smaltate di rosso, come quelle delle mani. Più sù un vestito di un colore indecifrabile, tra il vermiglio e l'arancio, con un motivo geometrico di linee ondulate dorate lungo la vita e il busto. E, per finire, un giubbotto di jeans, capace di conferirle un intrigante tocco casual. Non era così che era solita vestirsi: a scuola sembrava la classica studentessa modello da college, faceva la perfettina per non smentire la sua media del 30, e per questo a molti miei amici stava antipatica solo a guardarla. Ora invece ne avevo scoperto la vera natura spensierata, in quell'audace accoppiamento di tinte sgargianti. Quei colori quasi mi avevano distolto nella mia attenta scansione, che pure era un procedimento per me più che abituale: così, dopo essermi trattenuto oltremodo nella mia posa di feudatario investito, mi rialzai, soffermandomi ad ammirarne le curve sinuose dei fianchi e il seno rotondo, anch'esso più piccolo rispetto a quello di Michela (ormai il mio metro di confronto con Laura), ma comunque proporzionato per via della sua altezza decisamente inferiore: 1 metro e 75 o poco meno, forse 80 con i tacchi, contro 1 e 65. Allora alzai ancora lo sguardo per andare a fissarne il volto: la bocca sottile si apriva in un sorriso misterioso sulle gote pallide, ancora poco abbronzate. Era un sorriso ammaliante, tutto labbra niente denti, da cui traspariva la dolcezza e la serenità di quella giovane donna. Aveva il nasino all'insù e i lineamenti delicati, e più su, 2 bellissimi occhi blu. Fantastici, non li avevo mai visti così, e pensavi al tempo per cui quei due gioielli di scura ematite incastonati in una cornice di zaffiro erano rimasti nascosti alla mia vista dalla cascata di capelli corvini, che le nascondevano buona parte del viso durante le ore che passava china sui libri in biblioteca.

Ero ormai rapito da quel sorriso e da quegli occhi, ma un colpo potente dietro la nuca mi riportò sulla terra: sembrava che mi fosse caduto in testa un vaso o una tegola. Poi mi girai e vidi un inconfondibile ghigno idiota. Riconobbi immediatamente Roby, quello che era il fidanzato di Michela ormai da più d'un mese, l'ultimo di una lunga serie: in effetti Michela aveva avuto davvero tanti ragazzi... era normale, era una bellissima donna, con molti pretendenti (me compreso, quando ancora frequentavamo il liceo...), ma come facesse a impegnarsi con tanti uomini per me era ancora un mistero. Era una vera e proprio "mangiauomini", passava da uno all'altro a distanza di giorni; erano quasi sempre ragazzi di passaggio, che conosceva fuori città e si portava dietro per poi mollarli, quando evidentemente non gli andavano più a genio, senza che questi si facessero più vedere. Tra i numerosi, Roby era probabilmente il più scemo che avesse mai avuto, ma di certo aveva ben altre, più evidenti, qualità: era un judoka e aveva partecipato con successo a numerosi tornei di judo; era alto un metro e 90, un vero armadio, con bicipiti enormi e spalle larghissime a sorreggere la testa minuta, straordinariamente sproporzionata rispetto al fisico statuario. Lo avevo già conosciuto giorni addietro: Michela me lo aveva presentato la settimana prima quando era venuto a prenderla fuori dall'università e subito si era distinto per le maniere grossolane e a dir poco rozze con cui stava salutando un suo simile. Ora che aveva riservato lo stesso trattamento anche a me, cercai di contraccambiare con una risata altrettanto sonora, rispondendo alla sua pacca con due colpi sul fianco. Tuttavia, per quanto mi fossi impegnato nel picchiare con decisione, ero certo di non avergli fatto più male di quanto non avesse fatto lui con me. E intanto cercavo di convincermi che, nonostante tutto, fosse simpatico.

Michela intervenne a interrompere quegli ilari momenti di pateticità: << Andiamo, che abbiamo il tavolo prenotato per le 9 e mezza, e siamo già in ritardo >> Replicai << Manca ancora poco più di un'ora: ma in che posto è che devi portarci di tanto lontano? >>. << Vi porto al Kashima.... è un ristorante cinese, effettivamente è un po’ fuori mano, ma si mangia bene: vi assicuro che non vi deluderà affatto o, per lo meno, non ha mai deluso me!>> Io subito pensai a tavolini bassi senza sedie, bacchettine per afferrare il cibo e pietanze a base di carne di balena e pesce palla, ma decisi di non fare commenti prima di aver provato questa nuova esperienza. Michela era già andata a sedersi alla postazione di guida. Alla stregua di un cagnolino la seguì Roby, che aveva sembrato gradire molto l'idea, come un bambino cui si propone di andare al luna park, ed era andato ad occupare l'altra postazione anteriore. Così io potei sedermi vicino a Laura nei sedili di dietro, pensando maliziosamente a cosa avrei voluto fare nello stesso punto, con la stessa persona in altre circostanze. Durante il tragitto Michela dimostrava tutta la sua dimestichezza al volante, veramente notevole considerando che era una ragazza. Inoltre dava prova della sua ineguagliabile loquacità, passando con facilità disarmante da un argomento all'altro, dalla politica, allo sport alla scuola, permettendomi di conoscere ulteriormente i gusti e le idee della dolce fanciulla che sedeva al mio fianco. Il viaggio fu breve: percorremmo per lo più vie principali, poi imboccammo una strada secondaria che ci condusse su una collinetta e, dopo un ponte, si presento ai nostri occhi una costruzione dalle chiare tendenze orientali: un edificio ad un unico piano, con mura giallognole, lunghe e basse sotto un tetto quasi piatto, con delle incrinature verticali appena accennate. Un'insegna, se non lo avessimo capito, ci avvertiva o ci confermava che quello era proprio il Kashima. Nel parcheggio, poco grande e nemmeno troppo affollato, trovammo posto proprio vicino all'entrata, situata in una posizione singolare, vicino a un angolo dell'edificio. Era l'unica entrata, per di più molto piccola rispetto all'esteso perimetro esterno della costruzione. Michela ci precedette sicura: certamente, per aver prenotato ed entrare con quella disinvoltura, doveva già essere venuta nel locale. E quando la vidi che si salutava con un abbraccio e un bacio sulla guancia con una cameriera dai caratteri somatici asiatici (probabilmente era giapponese o koreana), mi convinsi che fosse una cliente abituale. Nonostante fossi ben consapevole di essere lì per un appuntamento con una donna, non potevo ugualmente fare a meno di mettere gli occhi addosso a quella graziosa giapponesina. Come la maggior parte delle donne asiatiche, era bassina di altezza: le avrei dato un metro e 60 al massimo, non di più. La sua statura minuta risultava lampante anche perchè calzava dei sandali infradito neri con la suola sottilissima. Naturalmente il mio sguardo si fermò sul contenuto di queste calzature: due piedi piccoli e chiarissimi, un 36 scarso. Dita corte, ma non tozze, piuttosto forse potevano apparire tali ad un occhio inesperto per le unghie non lunghissime, una cosa che a dir la verità lasciò un po’ deluso un amante di questa parte del piede femminile come me. Quando poi la cameriera ci diede le spalle per accompagnarci al nostro tavolo, di quelle comunque bellissime estremità potei ammirare anche le suole, che, se possibile, apparivano ancora più linde del già bianchissimo dorso. I talloni carnosi calcavano con sorprendente delicatezza su quelle ciabattine, ma i passi erano scanditi lo stesso da dei "flop" squillanti, che risuonavano con una cadenza ritmica quasi ipnotica sul pavimento in parquet dell'ampio locale, dove altrimenti l'unico sottofondo udibile era rappresentato da una musica soffusa, particolarmente melodica, che ben si abbinava ai caratteri orientali di tutto il ristorante. Tornando all'amica di Michela, addosso aveva un gonnellino bianco che avrei visto meglio a una colf che a una cameriera, ma che comunque ne sapeva ben esaltare il fondoschiena rotondo. Più in alto una canotta nera cercava invece di nascondere più che di far risaltare il seno poco prosperoso. Aveva dei capelli neri abbastanza corti che a malapena raggiungevano le spalle. Quanto al viso... che volete che vi dica, le giapponesi ad un primo impatto le ho sempre viste tutte uguali, e questa mi parve distinguersi solo per la frangetta corvina che le copriva la fronte. Assorto come ero nella contemplazione della cameriera, non notai subito la strana organizzazione del locale: i tavoli non erano disposti lungo il corridoio, ma erano in delle stanzette delimitate da canne di bambù dispose verticalmente, con dei paraventi che facevano da barriera ad ogni tavolo. Il corridoio era molto largo, ma la parte adibita al transito restava stretta lungo il lato apposto a quello delle stanzine per la presenza di insoliti steccati che delimitavano l'entrata delle stesse. L'illuminazione non era nitidissima e il pavimento in parquet molto scivoloso. Quanto alle stanze, all'interno vi era lo spazio necessario per un tavolo e quattro sedie (la mia fantasia di mangiare inginocchiati per terra si era rivelata infondata), e, al posto della porta, un telone adornato con raffigurazioni floreali rendeva ugualmente impossibile guardare all'esterno dall'interno o nell'interno dall'esterno. Inoltre le varie stanze di bambù non si trovavano vicine, ma separate da almeno due metri l'una dall'altra. Pensai, da buon genovese, che forse si poteva risparmiare sui materiali mettendo due muri in comune, ma tant'è... Nel mentre ebbi modo di notare anche le reazioni degli altri: per Michela era tutto normale, mentre Laura e Roby sembravano perplessi quanto me per via di quell'ambiente insolito.

La cameriera ci lasciò nella nostra stanzetta, la seconda dopo la porta d'entrata, e andò via. Noi ci accomodammo: c'erano quattro sedie, disposte a due a due lungo i lati paralleli del tavolo: io mi misi in quello più lontano dalla tenda d'ingresso, con affianco a me Roby. Questi aveva di fronte Michela, mentre io la mia Laura. Guardai i nomi poco invitanti di alcune pietanze sul menù presente nella stanzetta, ma Michela ci rassicurò dicendoci che aveva già ordinato lei per tutti. <<Non sapevo fossi esperta di cucina orientale...>> cercai di investigare. <<Effettivamente è una mia passione abbastanza recente, è nata anche per caso.>> <<Non ti seguo>>, replicai. <<Ma sai, col tempo si fanno nuove esperienze, si conoscono nuovi costumi e persone...>> <<Ti riferisci a quella tua amica, la cameriera?>> <<Amica...>> sbottò mostrando un cipiglio irritato "No, Kaori è soltanto una conoscente, non ho amiche di questo tipo, grazie a Dio..>> continuò, interrompendosi però di colpo e sgranando gli occhi per pochi decimi di secondo, come se si fosse resa conto di aver detto qualcosa fuori luogo o di troppo. Credo che anche Laura se ne fosse accorta, ma l'imbarazzo di Michela fu puntualmente rotto (o forse accentuato) da un intervento tutt'altro che costruttivo di Roby <<Kaori, come quella della Philadelphia!>>, ridacchiò col fare da ebete che gli era consueto. Michela non potè fare a meno di portarsi una mano alla fronte, e disse di dover correre un attimo in bagno. Laura intanto accennò di nuovo quel sorriso, lo stesso sorriso che mi aveva conquistato la prima volta che mi aveva guardato in faccia. Più la guardavo, più mi piaceva. Tutto, di lei mi affascinava: ero ammaliato dal suo incedere deciso, intrigato dalla sua limpida favella, e ora sentivo di doverle assolutamente carezzare il volto. Lo feci, quasi senza volerlo, ma desiderandolo in cuor mio più di qualsiasi altra cosa al mondo, mentre le scostavo una ciocca nerissima dal volto. Lei mi guardò dritto nelle pupille e nel suo sguardo lessi il riflesso della stessa attrazione, o forse dell'amore, che io sapevo di provare per lei. Così si sporse in avanti e lo stesso feci io. Le nostre labbra si unirono con naturalezza, ci stavamo baciando calorosamente dopo neanche un’ora da quando ci eravamo conosciuti: classico colpo di fulmine.

In quel momento Kaori entrò nella stanzetta, portando in tavola un vassoio con poche ciotoline <<Questo è l'antipasto tipico della cucina cinese: sono dei dolcetti molto saporiti, sbrigatevi a mangiarli finchè sono caldi!>>. Subito la cameriera scomparve dietro la tenda da cui era entrata. Io guardai Laura: forse era il caso di aspettare Michela. Ma Roby aveva già trangugiato il primo dolcetto. Allora, affamato, ne presi uno anch'io, pensando che Michela non se la sarebbe presa. Dall'aspetto e dalla consistenza parevano dei biscotti normalissimi, poco diversi da quelli della Mulino Bianco. Ne mangiai uno in un solo boccone, e non rimasi affatto deluso dal sapore, sebbene sospettoso riguardo alla composizione. Anche Laura aveva cominciato a mangiare, mordicchiando poco allettata il primo dolcetto. Io intanto, come Roby, ne avevo preso un altro.
Non feci in tempo a finire di mangiare anch'io il secondo biscotto, che cominciai a sentirmi poco bene: inizia a sentire un forte capogiro e mi sembrava di dover perdere l'equilibrio da un momento all'altro. Mi appoggiai con i gomiti sul tavolo e, confuso, passai almeno un minuto di agonia, con un dolore martellante alla testa. Come se non bastasse, sentivo le orecchie fischiarmi insistentemente. Poi, improvvisamente, si fece tutto nero. Non persi i sensi, ma mi sentivo come paralizzato e mi lasciai cadere. Nel giro di pochi secondi cominciai a riavermi: sentivo di nuovo la rilassante musica orientale del locale e la vista mi stava tornando, sebbene offuscata. Così, barcollando, riuscii ad alzarmi e strisciai su una superficie gialla e molto morbida. Procedendo a fatica raggiunsi un altro piano, più duro e regolare, dalla consistenza legnosa. Qui mi accorsi di essere nudo. Mi guardai attorno, ma vedevo tutto troppo lontano e sfocato. Allora iniziai a correre, cercando qualcosa o qualcuno che mi spiegasse cosa stesse accadendo, ma ancora intontito, non mi accorsi che davanti a me si apriva un baratro. Non riuscii a fermarmi ma, prima di cadere, mi slanciai in avanti, trovando un insperato appiglio in una sorta di liana. Da questa nuova locazione tutto cominciò a sembrarmi più chiaro: realizzai di aver appena camminato su quelle che erano la mia sedia e la mia maglia versione gigante. Ma ben presto capii che tutto lì era versione gigante, tutto era rimasto uguale a prima, ero io ad essermi rimpicciolito, in quanto tutto era invariato, compreso lo spago del paravento di bambù a cui ero riuscito ad aggrapparmi. Provai a scrutare in lontananza: il posto di Laura era lontanissimo da me, distante, viste le mie dimensioni, che avevo approssimate a 4 centimetri o poco più, almeno 150 metri dei miei metri, e non riuscii a vederla. Al mio fianco però, potevo osservare il mucchio di abiti che prima indossava Roby.

Il primo dei miei problemi per me, in quel momento, era trovare un rifugio sicuro. La mia posizione, con la vita appesa in senso letterale, ad un filo, era molto precaria, ma per fortuna, poco distante, notai una crepa tra due canne di bambù. Mi spostai stando in equilibrio sullo spago che li teneva uniti, e riuscii a raggiungere quel piccolo vano che per me rappresentava un rifugio più che sicuro.

Continua...


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