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Prede umane.

Part I sent by ARGO and uploaded on data 25/June/2005 19:20:16


Il suono acuto del telefono mi fece svegliare di soprassalto. Dalla luce che c’era si capiva che avevo riposato abbastanza dato che il sole sembrava essere alto e nemmeno la plastica bollente del contenitore mi aveva destato. Confermava tutto il mio corpo indolenzito. Infatti, ai primi movimenti tornavano alcuni dolori che mi fecero piombare nei ricordi precedenti. Decisi così di restare supino, anche perché non avevo altra scelta. Solo che ora il calore si faceva sentire, i miei sensi erano desti e all’improvviso mi sembrava di affogare in quella specie di serra in miniatura. Notai che lì dov’ero prendevo in pieno i raggi del sole (perlomeno fino a quando il sole non si fosse spostato ) e non era piacevole. Ma forse erano altre le cose di cui dovevo preoccuparmi. Intanto il telefono squillava e quando il suono si interruppe improvvisamente non mi accorsi che mia sorella era scesa a rispondere. Appena sveglio ero ancora abbagliato dalla luce fortissima e non riuscivo quasi ad aprire gli occhi, anche stropicciandoli con le dita. La forte arsura mi aveva messo una sete incredibile. Intanto sentivo la voce di Katia quasi senza capire cosa dicesse. Pochi secondi dopo capii che aveva interrotto la conversazione. Con poco piacere mi accorsi che ora era davanti a me dato che la sua enorme mole oscurò l’area circostante. Potei così aprire pienamente gli occhi. Si chinò curiosa verso di me :- “ Ah, ti sei svegliato finalmente! Sono le dieci e mezza, si vede che eri proprio sfinito!”   Mi guardai un’ attimo, notai che ero pieno di lividi e mi muovevo a malapena. Alzai lo sguardo e la supplicai :-“Ti prego,ho sete e, forse non riesci a vedermi bene, ma sono proprio malconcio! Lasc…!!!”- non ebbi il tempo di finire che mi ritrovai stretto nella sua mano. Mi venne fuori un forte gemito per lo scossone improvviso e quando mi ritrovai davanti al suo volto mi disse :-“Non te lo ripeto più, quando ti rivolgi a me lo fai come se stessi parlando alla tua regina. Quindi mi dai del Lei e ti inchini se mi chiedi qualcosa. Non ti punisco solamente perché mi servi tutto intero, ma la prossima volta ti lascio in balia di qualche mia amica e buonanotte! Ora ti preparo tutto per mangiare, bere e lavarti,dopodichè riposi che tra qualche ora arrivano.”
Arrivano chi, pensai. Ah sì, le sue amiche! Non so cosa succederà allora. La mia curiosità mi spingeva a domandare, ma sarebbe pericoloso. Bastava un modo sbagliato ( per lei ) come poco fa per essere torturato. Meglio stare zitti. Intanto Katia aveva riempito la vaschetta dove mi sarei lavato, un tappo di bottiglia con dell’acqua per bere ed un piattino con della roba tritata da farmi mangiare. Quando ebbe finito mi depositò sul tavolo, ora più delicatamente e, mollandomi si chinò di nuovo verso di me:-Ti lascio una mezz’oretta di tempo per fare tutto, non penso servano spiegazioni, vero?” Non disse nient’altro e si allontanò. Dal tavolo in cucina avevo un’ ampia veduta della sala e mi accorsi che aveva spostato i mobili. Si vede che avevo dormito proprio forte per non sentire niente. Forse era anche lo shock ricevuto ed il mio cervello aveva avuto davvero bisogno di staccare la spina, dopo tutte quelle forti emozioni! Finito il “bagno” nella vaschetta ( e con non poche difficoltà, nelle mie condizioni ) mi tuffai a bere nel tappo come un cane e mi tirai su solamente quando non ce la facevo più a respirare. Mi sentivo più rincuorato adesso e mi spostai nel piattino di ceramica. C’erano briciole di pane e di altre cose che, nella mia piccolezza, non riuscivo a riconoscere. Appena finito di mangiare mi distesi sul piano del tavolo dietro al bordo del piatto. Lì c’era un po’ d’ombra e riuscii a rilassarmi un attimo. Osservavo ora la sala: aveva disposto il tappeto al centro e tavolo e sedie su un lato. Si vede che tramava qualcosa. Quando sentii i suoi passi distolsi i pensieri sui suoi progetti. Ora potevo vederla lucidamente: Era pettinata, i suoi capelli scendevano liscissimi sulle spalle. Era leggermente truccata in viso, sentivo un forte profumo femminile, per me era troppo intenso ed era quasi fastidioso. Indossava una strettissima maglietta rosa ed una minigonna di jeans. Quando era ferma davanti a me osservò un attimo il tavolo, poi iniziò a rassettare il tutto e mentre diceva:-“ Ora tu andrai a riposare di sopra, come tutti gli altri. Vi voglio in forma. Gli altri sono pronti da un bel po’, tu invece sei un dormiglione!”
Si girò verso di me sorridendo, come se tutto fosse normale ed io non fossi alto sette od otto centimetri. La cosa mi rabbrividiva un po’, anche perché lei era più serena del solito. Appena ebbe finito si avvicinò abbassando la mano destra aperta verso di me. Con lo sguardo mi fece capire di salirci ed io non esitai. Nel muovermi in continuazione mi stavo abituando a sopportare i dolori muscolari. L’unico che proprio non sopportavo era quello in un fianco. Forse era qualche costola incrinata perché mi toglieva il respiro. Katia s’incamminò di sopra e potei notare le sue mani curate con lo smalto lucidissimo trasparente sulle sue lunghe unghie. Tra le dita della sua mano mi esposi per guardare in basso e la prima cosa che sentii erano le vertigini. Dovevo essere ad un’altezza di almeno trenta metri e spostandomi a quella velocità ( anche se lei camminava ) quasi mi girava la testa. Quando però dal basso spuntavano a ritmi alternati le sue gambe constatai che non aveva le calze e ai piedi indossava i decolletè verdi che le avevo personalmente lucidato. Katia notò il mio da fare e quando arrivammo in camera sua mi depose sul letto dicendomi :-“Beh, che avevi paura di cadere? O mi guardavi, non mi hai mai visto da quell’ angolazione, vero? O forse guardavi i miei piedi vero? Lo so che ti piacciono i piedi e questo è uno dei motivi per cui ti voglio umiliare!” Dicendomi questo mi raggiunse con l’indice destro della mano. Caddi sulla schiena ma ero sul lenzuolo bianco del letto e l’unica cosa che sentii era il fianco per il brusco movimento. Il suo dito mi premeva dolcemente sul petto e rimase un po’ ferma così, senza muoversi e osservandomi. La sua unghia terminava sulla mia gola ed era l’unica cosa che riuscivo a vedere. D’istinto cercai di far resistenza con le braccia ma sorpreso mi accorsi che non premeva su di me. Mollò all’improvviso e si diresse verso l’armadio. Tornò ancheggiando lentamente con un sorriso beffardo stampato in faccia. In mano aveva una scarpa. Apparteneva ad un altro paio di decolletè. Questa era nera ed anche qui il tacco era vertiginoso. Lo depose lentamente sul comodino. Poi si girò, allungando la mano mi afferrò al braccio sinistro e mi sollevò:-“Ti faccio un piccolo regalo. Penso che ti piacerà!” Così mi abbassò verso la scarpa. Ora mi preoccupavo perché non capivo. Mi lasciò scivolare dentro andando a finire fino alla punta. Lì mi venne quasi una sensazione di claustrofobia e stavo sudando. Cercai di risalire ma scivolavo sull’interno bianco. Sentii solo la sua voce:-“Questo sarà il tuo giaciglio per le prossime tre ore, dormi bene e non provare ad uscire, se la scarpa cade per lo spostamento del peso tu finisci dritto sul pavimento ed io trovo la tua marmellata! Ah, ah, ah,!!” Mi fece venire i brividi questo suo gesto. Non potei ribattere perché sentii che era già uscita. Non mi rimase davvero altro che cercare di dormire, così perlomeno avrei passato velocemente il tempo. Per fortuna la scarpa profumava di cuoio e non di altre schifezze. Infatti Katia le indossava raramente, di solito nelle cerimonie. Così cercai di trovare una posizione comoda e chiusi gli occhi.   

“Ma cosa sta succedendo, perché tutto questo da farsi?” Si interrogò il ragazzo guardando all’esterno. Un altro uomo gli si fece incontro perplesso :-“Di sicuro niente di buono, ci ha quasi trattati gentilmente e non credo che capiti spesso”-“Già…-intervenne un altro- ….io sono qui da quasi un mese e ne ho viste di tutti i colori. E’ la prima volta che si prende così cura di noi.”
Il ragazzo continuava a guardare tra le sbarre della gabbia. Ma non serviva a niente guardare fuori. Katia aveva deposto la gabbia nel bagno sul fondo della vasca e l’unica cosa che essi potevano vedere era un’enorme parete bianca che li circondava sui quattro lati. Gli ometti continuavano a confabulare tra di loro per la strana situazione, ma questa volta con più calma. Forse qualcuno era incoraggiato dal trattamento ricevuto nelle ultime ore. Le poche ragazze presenti erano frequentemente consolate dalle persone più forti e da quelli più abituati al trattamento del “mostro”.
Anche gli ultimi arrivati erano più coscienti di quello che gli stava succedendo. Non che questo li calmasse, ma perlomeno erano più lucidi e non in preda al terrore. Ma di certo quella calma surreale era solo apparente. Tutti si rendevano conto di ciò che stava succedendo e la sola vista di Katia faceva gelare il sangue nelle vene a quelle vittime inermi. Dovevano essere all’incirca le tre del pomeriggio quando la gigantessa rientrò nel bagno. Al solo rumore dei tacchi, ancor prima che Katia entrasse, regnava un silenzio tombale. Uno scossone fece capire che lei stava sollevando il loro carcere in miniatura. La gabbia dondolava come una nave colta dalla tempesta e nessuno riusciva a tenersi dritto, tranne un paio aggrappati alle sbarre. Poterono notare il suo viso apparire quasi improvvisamente :-“Bene, spero che siate freschi e riposati, vi voglio tutti robusti e forti, non voglio fare brutte figure mi raccomando!” Nel dire questo alcuni reagirono chiedendo cosa volesse dire e che intenzioni avesse, ma non ebbero risposte e nemmeno un minimo di attenzione da parte sua. Lei si diresse lentamente giù in sala, questo per non sballottare gli ometti in gabbia, soprattutto scendendo le scale. Arrivata in sala lasciò la gabbia sul piccolo tavolo col piano di vetro e la gabbietta ne occupava quasi interamente lo spazio. Al suo interno c’era un po’ di fermento. Molti di loro non erano mai stati lì, tranne quando furono catturati e vi passarono per la prima volta. Ed ora si trovavano lì tutti insieme. Mentre Katia tornò di sopra notarono anche la strana disposizione dl mobilio e molti si convinsero che qualcosa di brutto li stava aspettando. Nell’atteggiamento di mia sorella notarono che aveva una certa fretta, ma non riuscivano a capire cosa stesse architettando. Molti già non parlavano per la paura, perché pensavano ai momenti passati con altri ometti che, una volta allontanati dalla soffitta, difficilmente tornavano. Sapevano degli orrori che lei commetteva anche se qualcuno di loro ne aveva  sentito solo parlare. Ed ora si trovavano tutti lì, per un sadico gioco che era però reale. I secondi per loro erano ore. Già di prima mattina erano stati spostati per la casa senza ne sapere, ne capire, senza un briciolo di spiegazione o chiarimento. A peggiorare la situazione c’era il fatto che per tutti era una novità e quindi la loro situazione psicologica era terribile. L’unica consolazione, se così può essere definita, è che erano tutti insieme per un minimo di conforto.


Non avevo minimamente dormito anzi, la scarpa era la cosa più scomoda dove distendersi. Forse per via della forte pendenza, dato che dovevano esserci almeno otto, forse dieci centimetri di tacco sotto. Non so quanto tempo fosse passato, in quella trappola non avevo cognizione di niente. Sentivo solo mia sorella salire e scendere le scale ogni tanto. Ecco, ora stava salendo di nuovo. La maniglia si abbassò di colpo, il suo rumore era chiaro e capii che stava tornando da me. Un forte strattone spostò la scarpa, un attimo dopo mi sentii catapultato in avanti e, quando mi accorsi cosa era successo ero di nuovo sul letto di Katia:-“Allora fratellino,hai riposato bene? Ti è piaciuta la mia sorpresa?-io la guardavo con disprezzo e cercai di tirarmi su, lei torreggiava su di me con le mani ai fianchi, la testa leggermente inclinata su un lato- …spero che non ti dispiaccia,vero?”
Mi disse con tono più pacato, quasi sottovoce ed io non capivo. Si girò verso l’armadio e tirò fuori una scatola di scarpe. La mise sul letto vicino a me causando non pochi scossoni. Le sue mani la aprirono e subito una di esse venne verso di me. Quella visione era sempre allarmante, come se gli artigli di chissà che mostro avessero trovato la sua preda. Mi strinse delicatamente e mi sollevò depositandomi poi all’ interno di  quello che per me appariva come un prefabbricato. Ma con sorpresa vidi che dentro vi era ancora un paio di scarpe. C’era ancora la carta e l’etichetta, quindi erano nuove. Mi lasciò al centro tra le due calzature; erano dei sandali bianchi con una cinghia dove infilare le dita ed un’altra che cingeva la caviglia. Abbastanza semplici nel disegno ma avevano un tacco altissimo che pareva essere di acciaio. Guardai mia sorella che sorrideva e disse:-“Tra un po’ avrai un rapporto più intimo con loro, adesso facci confidenza, ci vediamo tra poco.” Si girò ed uscì. Dal rumore credevo dovesse essere in bagno. All’improvviso uno squillo del suo cellulare. La sentii rispondere:-“…ah, state arrivando, ok……sì!…Tra dieci minuti…..ciao!!” Dovevano essere le sue amiche. Non sapevo chi, ma qualcuna la conoscevo, perlopiù quelle più intime che venivano spesso a trovarla. Non so se quando parlava di loro si riferisse a quelle che avevo in mente io,  e credo di sì dato che diceva che erano più spietate di lei ed io ne sapevo qualcosa. Sentii Katia scendere le scale e poi niente più.


Quando videro arrivare la loro padrona gli ometti scattarono in piedi. Infatti si erano seduti all’interno della gabbia per cercare di rilassarsi un po’. Senza dire niente, prese la gabbia e la poggiò al centro del tappeto a terra, poi andò in cucina e dopo pochi istanti tornò verso di loro. Aveva una tovaglia tra le mani che spiegò e dispose sulla gabbia. I poveri malcapitati erano ricoperti dal tessuto e furono quasi nel buio totale. Le ragazze iniziarono a gridare e con loro qualche ragazzo. All’improvviso…SBAM!!…Katia diede un calcio alla gabbia facendo cadere tutti all’interno. Si chinò, alzò la tovaglia ad un lembo e, scrutando all’interno gridò furiosa:-“Silenzio, non voglio sentire fiatare nessuno! Voi dovete essere una sorpresa! Se vi sento ancora vi butto tutti nel cesso!!” Detto ciò abbassò la tovaglia e fece per andarsene, se non fosse stato per un continuo lamento; era una delle ragazze che rimase davvero terrorizzata dall’accaduto e non riusciva a calmarsi. Lei si girò di nuovo e di scatto alzò la gabbia, la depose sul tavolino di vetro e tolse il tessuto che la ricopriva. “ Chi è che non ubbidisce! Ora facciamo i conti!!” Katia gridò così spaventando tutti. Il suo scatto repentino fece trasalire molti di loro che ora si disperavano. Allora lei prese l’iniziativa:-“E va bene, ora puniamo qualcuno così vediamo di finirla! Vi faccio vedere che cosa succede a disobbedire la vostra dea!” Aprì la gabbia, infilò per quel che poteva la mano destra e cercò di afferrare qualcuno. Appena videro che stava aprendo la gabbia, tutti si fecero il più lontano possibile. Ma uno di loro rimase tra le sue grinfie e gridò all’impazzata. Già sapeva che non sarebbe finita bene. Lei era seduta sulla poltrona e di fronte aveva la gabbietta dalla quale tutti osservavano sconcertati. Aveva le gambe accavallate ed una mano sotto il mento nel gesto di chi sta pensando qualcosa. Nell’altra teneva la sua vittima e mentre la osservava, pensava a come si sarebbe potuta divertire. Dal mobile della sala, che era vicinissimo a lei, aprì un cassetto dal quale tirò fuori un pacchetto di fazzolettini di carta. Depose sul suo grembo l’ometto in modo da poter estrarre qualche fazzolettino dal pacchetto. Aprì i fazzolettini in tutta la loro estensione e li poggiò a terra di fronte ai suoi piedi. Afferrò di nuovo l’ometto e lo mise supino sui fazzoletti. L’omino gridava:-“ Nooo, non farmi del male, ti prego! Mia dea non sono stato io a gridare, sono sempre stato ubbidiente…no, lasciami andare!” Katia lo interruppe :- “Stai fermo così…ssssht!!…stai un po’ zitto! – e mentre scavallava le gambe mettendole unite-….scegli, destro o sinistro, ti do questa possibilità!” L’ometto sconvolto non capiva e continuava a chiedere clemenza, qualcuno nella gabbia invece sapeva anche se non poteva vedere perché la gabbia era di fronte alle enormi ginocchia di lei e ciò succedeva sotto di loro. Anche chi era vicino alle sbarre riusciva a vedere sino alle caviglie e non oltre. Videro Katia che d’un tratto allungò una gamba verso l’esterno :-“Dove vorresti andare? Resta lì dove ti ho messo, altrimenti oltre le scarpe mi sporchi pure il pavimento! E ti ho detto di scegliere, muoviti che non ho molto tempo!” Il poveraccio non riusciva a parlare per il terrore, oramai tutti avevano capito. Con un rapido movimento del braccio lo rimise dov’era. Quando nella gabbia notarono che Katia stava sollevando un piede sopra il malcapitato, la ragazza che prima si lamentava gridò di nuovo. Katia innervosita si fermò di colpo e guardò minacciosamente la gabbia. Abbassò la gamba perché riconobbe la voce e disse:-“Allora sei tu che vuoi rovinarmi la sorpresa, ora ti sistemo io!” la ragazza gridava a squarciagola mentre Katia riaprì la gabbia e vi rimise l’ometto sotto shock. Si avvicinò col volto per osservare meglio i suoi prigionieri e disse:-“Adesso esci fuori, muoviti!”La gigantessa mise la mano davanti alla porticina facendo capire alla ragazza che doveva salire sul suo palmo. Katia non aveva capito con certezza quale ragazza fosse di quelle, ma sapeva che sarebbe venuta fuori. La riconobbe perché era quella che più si disperava. Non voleva uscire dalla gabbia, allora lei sganciò velocemente il tetto della gabbia. Quando sentirono il rumore, i prigionieri guardarono in alto. All’improvviso ricevettero una forte luce e notarono due enormi mani che si portavano via il “tetto”. Sbucò improvvisamente il volto di Katia; i suoi capelli ora sfioravano le pareti, il suo sguardo scrutava attentamente tutti che ora si sentivano davvero senza via di scampo perché se prima la sua mano aveva dei limiti ad entrare, ora questi erano vanificati. Videro una sua mano apparire, si calò sulle loro teste, cercò un attimo tastando fino a che il suo pugno non si chiuse attorno alla ragazza che svenne per la paura. Quando la depose sul palmo aperto dell’altra mano e vide che non si muoveva reagì:- “No, non vale la pena schiacciarti, sei troppo debole; e poi forse non me ne accorgerei nemmeno. Però……- un sorriso le spuntò, le si era accesa una lampadina in testa-….sì, potresti essere una bella sorpresa, a modo tuo!” Così Katia rimise frettolosamente il coperchio della gabbia e se ne andò al piano superiore. Nella gabbia rimasero tutti sorpresi, tranne il poveraccio che ancora non riusciva a riprendersi.


Quando furono passati circa dieci minuti Katia rientrò in camera. Mi ero accasciato tra i due sandali quando mi avvolse la sua ombra. “Ti ho portato compagnia – esordì – voi due mi servirete dopo”  la vidi affacciarsi sulla scatola solo un momento, la sua mano lasciò scivolare qualcosa all’interno che rotolò fin quasi dinanzi a me. Era una ragazza! Che cosa stava combinando Katia?  Uscì dalla stanza senza dire altro. Perché c’era quella ragazza lì con me ora? Non capivo. La guardai un attimo: non reagiva per niente, quando mi avvicinai per un attimo ebbi paura che fosse morta, invece sentendole il polso mi accorsi che aveva perso i sensi. Chissà come l’aveva spaventata mia sorella, pensai. Le diedi un paio di schiaffetti per farla riprendere. Lentamente riaprì gli occhi, poi li spalancò e scattò in piedi gridando, guardava freneticamente attorno e la afferrai per cercare di calmarla. Si fermò quando vide che non era tra le grinfie di Katia.”Do-dove….sono, che…che sta succedendo! Sigh!!”  Io le risposi “Calmati, ora va tutto bene, lei non c’è!” Aspettai che si calmasse  e poi la feci sedere. Io poi affianco a lei. Eravamo in una delle due scarpe distese, seduti su un lato ed appoggiati dove va di solito il tallone, non due persone. La ragazza si accorse solamente ora di essere tra due scarpe e la cosa a quanto pare non le piaceva. Continuavo a tranquillizzarla e lei stava piangendo di meno. Quando la situazione migliorò le chiesi cosa fosse successo ma lei quasi non riusciva a parlare. Ci mise un po’ a spiegarmi la situazione, poi mi abbracciò disperata. :-“ P-perché…succede tutto questo, eh? Mi sai dire perché ci tratta così? Non… non ce la faccio più!” “Calmati” Le dissi “Ora sei qui e non succede niente, siediti e rilassati come me, non possiamo fare altro adesso” Così ci mettemmo a terra senza parlare, cercando di stare un po’ in pace. La osservai: era una ragazza carina, bionda e non doveva avere più di ventidue, forse ventitrè anni, pensai. Come poteva mia sorella far male ad una creatura del genere? Mi stava dimostrando sempre più spesso di essere un mostro.


Al ritorno di Katia nessuno più fiatava nella gabbia. Lei la sollevò, la rimise sul tappeto e, prima di coprirla di nuovo disse dando un leggero calcio alle sbarre:- “ Che vi serva di lezione, la prossima volta vi massacro tutti!” Non finì di parlare che si avverti un leggero brusio all’esterno e subito dopo squillò il campanello. Katia sorridente andò alla portà. Erano le amiche, tre altre gigantesche ragazze pronte a divertirsi. Nella gabbia quasi tutti capirono perché lei parlava di sorprese, erano un regalo per loro! Si chiesero cosa sarebbe successo ora, ma non si scomposero e rimasero in silenzio, non avevano intenzione di scatenare ancora le ire di Katia.
“Ciao ragazze, come state!” Esordì Katia all’ingresso mentre si salutavano. “ Bene!” Le tre risposero quasi in coro. “Dai su, sedetevi!” Facendo cenno di accomodarsi le fece entrare. Tutte e quattro sorridenti parlarono del più e del meno mentre si accomodavano; non si vedevano da un po’ e quindi ne avevano di cose da dirsi. C’era l’università, i ragazzi ed altro nei loro discorsi che giungevano alle orecchie dei piccoli prigionieri. Mentre sorseggiavano qualcosa, una di loro, Laura per l’esattezza fece gelare il sangue agli ometti.:- “ Allora Katia, siamo ansiosi di vedere i tuoi schiavetti, noi è da più di due settimane che non ne vediamo uno e siamo piuttosto…..eccitate, ah,ah,ah!” Disse lei sorridendo, cosa che fecero anche le altre. Katia:-“Sedetevi attorno al tappeto su quelle sedie. Ora ci divertiamo un po’!” Frettolosamente si accomodarono e gli ometti sentirono un boato attorno a loro mentre le quattro gigantesse si sistemarono. Ora erano sedute in cerchio attorno alla gabbia. E Carla, un’altra delle tre:-“Scommetto che c’entra qualcosa questa tovaglia!”
Disse avvicinandosi col busto e Katia annuì. Tutte e quattro erano ora  vicinissime. Katia sollevò di colpo la tovaglia esclamando:-“Ecco qua, ta-da!!” Le tre amiche sospirarono meravigliate sgranando gli occhi. Videro improvvisamente una ventina di ometti tutti per loro, che ora stavano stretti l’un l’altro per lo spavento. Nadia, l’altra amica:- “N-non….non ci posso credere, oddio….Katia è…meraviglioso, io me ne aspettavo un paio, non tutti questi! Nella mia borsa ne ho un paio se guardi. Puoi unirli a questi, se vuoi….è fantastico!” Le tre già si stavano eccitando, lo si capiva dai loro sguardi ammiccanti e con loro anche Katia che disse:-“ Su dai ragazze…io già non resisto…. Prendiamone uno per iniziare….Laura, hai portato quella roba?” “Sì, è la sul tavolo nella….mmmhh!…busta!”Rispose indicandola. Katia si alzò e prese la busta. Tirò fuori il contenuto che dispose sul tavolo: c’era una specie di gioco dell’oca con tanto di dadi. Poi vi erano degli oggetti che sembravano giocattoli per ragazzi. Erano come gli accessori dei pupazzi come Big Jim, tanto per fare un esempio. Erano degli strumenti di tortura. Giocattoli, ma per loro andavano bene, pensò Katia. Mentre le tre osservavano avidamente la gabbia, Katia tornò con due dadi. Le tre stavano già infastidendo gli ometti: cercavano di infilare le dita per toccarli, oppure avvicinavano le scarpe e le strofinavano sulla gabbia, facevano commenti e pensieri non molto belli per quei poveracci. E Katia:-“Bene, ora lo scegliamo.” Lanciò i dadi e con il risultato fece la conta tra le quattro. Ne risultò vincitrice Laura. Le ragazze non dissero niente, evidentemente avevano più volte fatto queste cose. Laura allora tolse il coperchio, si allungò verso la gabbia per scrutare meglio dall’alto:-“ Mmmmh!!….Bene, bene….vediamo un po’!… -fece ombra su quei poveretti che cercavano in qualche modo di starle lontano mentre rimuginava-….forse lui…oh!.. Ci sono anche ragazze!…Carla sarai contenta!…..- disse girandosi verso di lei, che si buttò sorpresa sulla gabbia-….No! Dopo ne prendi una, aspetta….- le disse Laura che intanto aveva infilato la mano all’interno sfiorando qualcuno che già gridava-…. Ecco, questo va bene per inaugurare!” Tra le mani aveva ora un ometto giovane, sulla trentina abbastanza robusto. Carla a malincuore richiuse la gabbia dando una sadica occhiata verso le ragazze. Katia poi prese la gabbia e la portò all’ingresso delle scale fuori dalla sala. Tornando chiuse la porta. Forse voleva isolarli per non far sentire niente. Laura stava smanettando quel poveretto e quando Katia era seduta, lo mise a terra davanti ai suoi piedi. Sedute com’erano le tre avevano formato uno stretto quadrato sopra il tappeto ed al centro ora c’era quel malcapitato. Si guardava attorno scosso e le supplicava pietà alzando lo sguardo. Lontanissimo scorgeva i loro volti che lo guardavano divertite ed eccitate allo stesso tempo. Se si guardava intorno aveva soltanto i loro piedi enormi vicinissimi. Katia già sappiamo com’era vestita, quindi lui notava quelle scarpe verdi. Poi c’era Laura, ragazza bionda, capelli non molto lunghi, bel fisico, alta circa un metro e sessantotto e labbra carnose. Era molto carina e sensuale. Lei vestiva sempre con jeans e t-shirt ed ai piedi delle scarpe da ginnastica bianche. Affianco vi era Nadia, un vero spettacolo. Bassa, poco più di uno e sessanta, ma un volto ed un fisico da urlo: capelli lunghi sempre lisci e neri come il carbone, fondoschiena incredibile ed il seno, a differenza di tutte le altre, molto prosperoso. Doveva avere almeno una quarta abbondante ed anche se era bassa, quei seni sodi non le sfiguravano per niente, anzi le davano una certa dose di femminilità. Il volto poi era la fine del mondo, aveva uno sguardo da pantera ( soprattutto il taglio degli occhi ricorda molto Naomi Campell ) e labbra carnose. Il tutto condito da una carnagione molto scura. Era molto dedita al trucco, a volte eccessivo, non quando metteva smalto bianchissimo e lucido a mani e piedi, che come ora metteva in risalto curatissimi. Infatti è una patita della cura del corpo e non aveva un difetto sulla pelle. Ora, come quasi tutte le volte, indossava minigonna e top neri, con decolletè neri dal tacco di almeno dieci centimetri.
L’altra invece è Carla, anche lei una meraviglia anche se totalmente opposta a Nadia. Una ragazza semplice e dolce (almeno come la conoscevo, dato che ora so che condividono questo terribile segreto con mia sorella), alta almeno uno e ottanta, bionda dai capelli lunghi lisci, in questo caso raccolti in una coda. Bel fisico, direi una seconda di seno ma gambe snelle chilometriche ed anch’essa uno sguardo fulminante ( per farvi un’idea ricorda molto vagamente la Marcuzzi ). Parlava da poco decentemente l’italiano, poiché lei viene dall’Argentina e da poco più di un anno vive definitivamente qui. Infatti tutti i suoi parenti sono italiani e ne ha approfittato per studiare e, evidentemente, anche per qualche altra cosa. Anche lei vestiva con una minigonna nera che risaltava le sue bellissime gambe che culminavano con caviglie sottili alle quali erano allacciati i suoi sandali neri con tacco alto. Aveva poi una camicetta rossa che le donava molto.
Sono tutte amiche dall’infanzia quindi molto affiatate, ecco perché condividevano anche un segreto del genere. Ricordo molte volte in cui mia sorella approfittava ad umiliarmi per far ridere loro, cosa che facevano tutte un po’ con tutti.


“Ragazze, sto impazzendo, non resisto più!”- disse Nadia osservando a terra quell’ oggettino del desiderio. “Dai, iniziamo il giuramento. Lo faremo solo con lui, ma facciamolo per bene, lo sapete che porta fortuna! – Era Katia che rispose, poi continuò, mentre l’ometto si era accasciato a terra col braccio alto per proteggersi. Infatti sopraggiunse la mano di Laura che lo sollevò e lo mise sulle sue gambe. Allora Katia prese sul tavolo un foglietto che era nella busta, si riaccomodò e lo aprì. Laura riprese l’ometto terrorizzato nella mano e, tenendolo stretto, lo allungò verso Katia. A sua volta lei gli mise il foglietto davanti tenendolo fermo :-“ Leggi!”- Disse con autorevolezza all’ ometto che non capiva il perché. Laura agitò la stretta facendolo gridare:-“Muoviti! Ti ha dato un ordine”-insistette Laura che allo stesso tempo sentiva già un forte piacere in quelle azioni. L’ometto timoroso iniziò:- “Giu-giuro fedeltà…alla mia padrona che…che disporrà…sigh!….d-della mia vita a…a….a suo piacimento e sarò….lieto di…di eseguire ogni sua….volontà….sigh!…senza…..s-senza mai dubitare!”- l’ometto sconvolto quasi non capiva ciò che leggeva mentre le quattro lo fissavano estasiate a quelle parole. Erano state composte da loro e ne approfittavano per ribadire la propria supremazia. La mano di Laura ora lo lasciò a terra. Piangeva disperato mentre Katia mise in tasca il foglietto. Carla ebbe la parola:-“Ora devi dimostrarci la tua fedeltà- disse mentre si epose dalle proprie ginocchia per poterlo vedere a terra- e quindi a nome di tutte noi ci bacerai i piedi!” Con quel tono smaliziato lui non aveva nemmeno il coraggio di rispondere. Sembrava affannato nel respiro e sudava quando Katia per prima gli mise davanti la scarpa destra. Aveva allungato la gamba fino a lui e dopo un po’ di attesa:- “Dai, che aspetti?- gli ribadì Katia- voglio solo un bacetto sulla scarpa!” Gli disse con una smorfia per prendersi gioco di lui. Il poveretto si alzò lentamente e si appoggiò sulla scarpa di Katia, non volendo provocare le quattro ulteriormente. Stava pensando che erano tutte delle pazze assassine e se non le avesse assecondate, anche nelle cose più umili, avrebbe solo peggiorato la situazione. Così diede un bacio sulla scarpa, poi si spostò da Laura che, alzando lentamente una punta, gli indicò di baciare la suola. Fu costretto ad abbassarsi sotto quella scarpa da ginnastica e baciarne la suola fetida. Fu la volta di Nadia che, al momento del bacio lo fermò scostandolo col piede. Lo afferrò e lo mise sul collo del piede e, tenendolo fermo a pancia in giù disse:- “Ora mi lecchi il piede da dove sei fino alla cinghia che poi bacerai e non te lo far ripetere!” Non è che avesse molta scelta dato che aveva un suo indice sulla schiena che quasi non lo faceva respirare. Così le quattro osservarono la sua testolina che si piegava e, quando arrivò sulle dita dov’era la cinghia, lei lo sollevò per un braccio e lo mise sul palmo aperto di Carla che aspettava ansiosa. Lo mise davanti ai suoi piedi:-“Baciami tutte le dita” E lui non fece altro che accontentarla. Notò che tutte e quattro avevano cura dei loro piedi e quindi erano quasi profumati nonostante il caldo torrido. L’ultima che fu servita lo riprese in mano. Mentre lo teneva a mezz’altezza, il suo sorriso non tranquillizzava l’ometto. Infatti Katia prese la parola:-“ Il giuramento è stato fatto, ora divertiamoci, prima con lui, poi col resto nella gabbia “ E continuò Carla, che intanto già godeva mentre stuzzicava il poveretto punzecchiandolo con le unghie:- “Allora prendine altri tre così ne abbiamo uno a testa” Le altre tre annuirono soddisfatte e Katia andò a prendere la gabbia. Quando la pose a terra tolse il coperchio ed ognuna delle tre smanettò all’interno afferrando un proprio schiavo. Le grida nella gabbia erano furiose, il panico dominava la loro situazione. Riportò poi la gabbia dov’era. Intanto Carla aveva messo a terra il proprio ometto e gli aveva ordinato di spogliarsi, cosa che all’inizio non gli veniva facile. Quando però lei gli mostrò uno sguardo tutt’altro che gentile, non ci mise molto a togliersi tutto. Ora era completamente nudo e davanti a se aveva quei magnifici piedi affusolati nei sandali neri. E sollevando lo sguardo aveva a perdita d’occhio le mastodontiche gambe che sparivano lontane sulla sedia. Mentre le altre tre si disposero più lontane per avere i propri spazi, Carla accavallò la gamba sinistra sulla destra. Si chinò col busto in avanti e disse:-“ Allungati di schiena e con le braccia lontane dal corpo” Obbedì subito, anche se avesse molta paura. Guardava quel sandalo che dondolava su di lui mentre lei osservava l’operato del suo schiavo. Le tre amiche stavano preparando con le proprie vittime ciò che faceva Carla mentre nelle loro mani gridavano all’impazzata. Carla lentamente prese tra le mani il sandalo sfilandolo e lo poggiò delicatamente a terra. Con voce bassa, guardando l’ometto:-“ Hai visto che bel piede che ho?…mmmmhh!!…non sei curioso di provarlo, eh? Un numero 41 come questo non si trova tutti i giorni!!” Mentre diceva questo, accarezzava con le mani il suo piede, muovendolo delicatamente finchè lo abbassò sull’ometto. Questi gridava temendo di essere schiacciato, ma Carla andò a sfiorargli il petto con le dita affusolate e curatissime. Lo tastava morbidamente muovendo il piede su e giù. A volte lo sfiorava e rimaneva ferma con quel leggerissimo contatto che forse gli trasmetteva non poca goduria. Le espressioni del suo volto ne erano la conferma. Poi tolse la sua estremità sul suo corpo e, poggiandolo a terra, si sfilò anche l’altro sandalo. Lui non si muoveva e non parlava, quasi sotto shock. Ora si trovava in mezzo ai due piedi, come due pareti di carne. Poi tornarono a muoversi: lei sollevò i due alluci con i quali lo raggiunse ruotando sui talloni. Le due dita tastarono l’ometto, questa volta con più veemenza, finchè lei iniziò a strofinarlo con tutta la pianta, usando alternativamente destro e sinistro. Katia, Nadia e Laura facevano quasi lo stesso. Solo Laura però lo faceva con i calzini bianchi che aveva e che non tolse. Poi Nadia si fermò un attimo:-“ Ahh! Ragazze, che meraviglia… adesso ci vuole una sigaretta!” “Già, ne voglio una anch’io” Disse Katia che alzandosi ed infilandosi velocemente le scarpe andò in cucina a prenderne un pacchetto. Così si alzarono anche Laura e Nadia. Carla invece rimase seduta dato che non fumava. I tre ometti liberi e terrorizzati si avvicinarono ed osservavano impauriti l’altro che soffriva sotto il trattamento di Carla. Si accorsero che ora non andava sul leggero e quasi lo ammazzava sotto il peso e la violenza dei suoi contatti. I tre allora si guardarono e, quasi come d’accordo, scapparono  dal tappeto passando sotto una sedia per poi raggiungere il tavolo. Le tre che intanto fumavano in cucina e parlottavano soddisfatte su quanto stava accadendo non avrebbero mai pensato al gesto dei tre, dato che erano spaventati a morte. Ma proprio la paura aveva causato la reazione. Carla, che ora godeva da matti, non si accorse di nulla, assorta com’era con la sua vittima che gemeva sotto i suoi piedi. pochi secondi dopo le tre tornarono fumando al tappeto e si accorsero dell’accaduto. “Ma…non ci credo, hanno osato……Carla, non hai visto niente?” Disse Katia e Carla, quasi come se fosse stata appena svegliata:- “…Mmmmhh!?…cosa?…ooohh!!!….cosa c’è?”- disse mentre insisteva sull’ometto quasi spompato. Carla, guardando un attimo le amiche meravigliate, si accorse di tutto. Allora lasciò l’ometto e si rimise le scarpe. Intanto le tre già perlustravano la stanza:- “Saranno di sicuro sotto qualche mobile” disse Laura e Nadia:- “ Mi è venuta un’idea!…Carla dammi il tuo schiavetto!” Carla la guardo titubante e lei:- “Voglio fargli guardare attorno per trovare gli altri, lui può andare anche sotto il mobilio e li troviamo prima!” L’ometto a terra era sorpreso e non ebbe il tempo di reagire che la figura di Carla era su di lui oscurandolo della luce. Abbassandosi lo afferrò e lo portò all’altezza del suo viso. Lei sorrideva evidentemente divertita dell’idea dell’amica. Poi si rivolse all’ometto con tono dolce:-“ Hai capito che devi fare?….mmmhhh!!!-mentre lo sfiorava con il pollice dell’altra mano-….ti sei comportato bene finora…..se non li trovi o fai il furbo avrò io stessa il piacere di schiacciarti sotto i miei bei piedini, d’accordo?” L’ometto non riusciva a parlare e fece un cenno di approvazione con la testa che Carla nemmeno percepì, ma comunque era convinta di essere stata chiara. Andò verso la vetrina e lo lasciò a terra. Si avviò sotto il mobile mentre le quattro gigantesse osservavano. In lontananza sotto il mobile il poveretto individuò gli altri tre. Era stato facile perché era l’unico posto dove potevano effettivamente nascondersi. Lui impaurito cercare di salvare i tre, ma girandosi un attimo poteva scorgere le loro enormi ombre ed i loro piedi che non avrebbero perdonato. Allora andò verso di loro. Li raggiunse e piangendo disse:-“ Vi-vi…prego……uscite…loro vi perdoneranno!!”  Uno dei tre, il più anziano rispose:-“ Sì, come no, lo sai che essere alla loro mercè equivale a morte certa, che tu le diverta o meno, non raccontare balle per salvarti!”  “Ma…ma loro mi uccideranno se non uscite!” –rispose l’altro disperato. Un altro dei tre gli ribadì sconvolto:-“ Che ti ammazzino pure, ora non rompere i coglioni e vattene!”Allora l’ometto, disperato ed anche furioso,gli gridò:- “Adesso allora vado e gli dico tutto ! E’ questo che meritate!” Non fece in tempo a girarsi che i tre, presi forse dal delirio, lo afferrarono e fecero per strangolarlo, quando la voce di Carla li fece trasalire:-“Allora, ti muovi? A noi non piacciono i furbi!” Guardarono verso la luce videro le mani di Carla a terra e capirono che si stava abbassando per scrutare sotto il mobile. Mentre tenevano fermo il poveretto si accorsero che non erano più in una zona sicura e dovevano spostarsi velocemente più in profondità. Uno dei tre vide tra la sporcizia lì sotto una matita da disegno mezza consumata. La sollevò con difficoltà, nemmeno fosse una trave e, prendendo la rincorsa, colpì con la parte superiore il poveretto al torace. Questi cadde dolorante a terra, sicuramente non era un colpo da niente. I tre scapparono subito al riparo mentre una parte del volto di Carla si affacciava. Tutto avvenne in pochi secondi. L’ometto dolorante vide l’occhio azzurro di Carla e la sua coda bionda distesa a terra. Notò la sua bocca sorridere quando lo vide a terra. Poi la mano di lei si avvicinò raggiungendolo. Lo afferrò per una gamba e lo trascinò via. Poi lo mise sul tappeto, dove non riusciva a stare in piedi per il dolore e respirava con difficoltà. Intervenne Katia:-“ Ma bravo!…fa il furbo per aiutare gli altri, che coraggioso!” Le quattro ora lo circondarono. Lui ora guardava Carla che si era seduta quasi di fronte e le altre fecero allo steso modo. L’ometto aveva brutti presentimenti e cercò di spiegarsi:-“N-no…m-mia padrona…coff!!..coff!!!..sigh!!…davvero! Non volevano….non volevano uscire, sono lì sotto…uffh!!…e mi hanno aggredito per uccidermi!!..Per….per non permettermi di rivelarvi niente!!” Allora Laura :- “Le prese per il culo non ci piacciono!”  E Carla:- “Beh, te l’avevo detto, anche se ti avrei ucciso ugualmente,ah,ah,ah,ah!!” Tutt’e quattro risero, Poi Carla inarcò in avanti la gamba destra mostrando il bel collo del suo piede, calò la punta sull’ometto disperato che chiedeva pietà. La abbassò su di lui facendo pochissima pressione senza poggiare a terra il tacco altissimo, ma era quanto bastava per far soffrire atrocemente il condannato. I tre ometti videro la scena in lontananza da un angolo del mobile. Notarono le sue dita schiacciate nel sandalo che facevano capire la pressione che lei, curiosa e sorridente, esercitava. Le gambe del poveretto si dibattevano a più non posso, finchè lei poi poggiò interamente il piede a terra e poi scaricò tutto il peso sull’ometto.  Con estremo piacere  le quattro osservarono l’ometto frantumarsi sotto le sue splendide dita, lasciando sporco il tappeto. Le dita di lei si muovevano anche se il piede era fermo per pressare un po’ dappertutto. Anche se non parlava si capiva che Carla era in trance per il piacere. Quando tolse il piede chiese con voce flebile un fazzoletto per pulire la suola della scarpa. I tre fuggitivi osservarono inorriditi, quasi non si muovevano per l’orrore. Non pensavano di poter fare quella fine. Intanto Carla aveva pulito la scarpa e chiese scusa per il tappeto sporco. Katia le disse di non preoccuparsi, dato che era vecchio e l’aveva messo apposta. Le tre fumatrici avevano già terminato le loro sigarette. Tutte e quattro poi , sapendo dov’erano gli ometti, circondarono l’armadio che era alla parete; sapevano che i piccoletti erano là sotto. Quei tre non avevano via di fuga anche se, nascosti sotto un piede nell’angolo del mobile, evitavano di essere visti. Ma le quattro capirono la situazione. Laura chiamò le altre e, quando furono riunite le parlò silenziosamente all’orecchio. Poi sorridendo si avvicinarono all’armadio, ognuna inginocchiandosi ad un angolo. E così Laura :-“Al mio ordine……via!”  E tutte e quattro strinsero le mani sotto i piedi del mobile, ognuno il suo, finchè Nadia:-“Oooohh!…credo di averli presi!” Avvertirono le loro piccole grida e quando Nadia si rialzò videro con piacere i tre piccoletti che si dibattevano tra le sue mani. Li lasciò sul tappeto e Carla:-“Bene, adesso tocca a voi!” Katia rispose:-“Mmmmh!…sì. .non vedo l’ora, io di solito li mangio, non ne ho mai schiacciato uno!” I tre a terra gridavano follemente circondati dai piedi delle loro padrone, osservavano i loro sguardi mostruosi e a quelle parole non fecero che aumentare il tumulto. Le tre ragazze si inginocchiarono su di loro per vedere meglio quale era quello che possedevano prima. Così ognuna si prese il suo. Katia mise disteso il suo e fece finta di infilzarlo col tacco di una delle scarpe. Il malcapitato mise le mani in avanti per proteggersi e la gigantessa guardava divertita, poi scostò il piede. Intanto anche le altre due prepararono la loro vittima. La prima fu Nadia che non resistette più. Gli altri due ometti si girarono di scatto a guardare quando sentirono rompere il corpo dell’altro sotto la suola della scarpa di Laura. Videro la ragazza gemere e girare la punta sul tappeto dove fuoriusciva solo una chiazza di sangue. I due poveretti rimasti tentarono di nuovo la fuga. Nadia allungò subito il piede sul fuggitivo che, colpito alla schiena, cadde in avanti e rimase poi sotto la suola del sandalo che si poggiò in fretta a terra. Tutte queste operazioni facevano letteralmente impazzire le quattro ragazze, che avrebbero continuato all’infinito. Nadia si rammaricò di aver schiacciato quasi per sbaglio l’ometto poggiando distratta il piede. Alzò la gamba e notò sotto la suola i resti del suo gioco, voleva sentire di più quel momento. Poi Katia diede un’ occhiata a terra dove la sua prossima vittima cercava di fuggire. Allungò una gamba: un’ombra improvvisa e l’ometto si trovò davanti un muro verde. Piangendo disperato l’ometto cadde all’indietro all’impatto con la scarpa. Lei alzò solamente il tallone, trascinò la punta indietro e gli mise il tacco sul torace, sfiorandolo. La vittima cercava di spostarlo affannandosi. Katia invece lo sprofondò nel suo stomaco. Un rivolo di sangue si diffuse sul tappeto e Carla,che si era abbassata per vedere:-Hey, Katia, ancora vivo!”Allora Katia sorpresa alzò il piede lentamente, ma l’ometto era ancora nel suo tacco. Le altre due si chinarono per guardare curiose. Lei poggiò il piede a terra, Carla mise delicatamente due dita sull’ometto che spasimava, lo tenne fermo e lei poi sfilò il tacco:- “ Ma tu guarda!” Disse sorpresa. Quando lo lasciarono lì Katia lo finì con la suola calpestandolo in modo veemente. Poi si guardarono soddisfatte tutte e Laura :-“ Beh, direi che tocca a gli altri, ora inizio a godere!”   Le altre confermarono la frase di Laura e sistemarono l’attrezzatura sul tavolo dopo essersi pulite le scarpe.

Continua...


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